Il "Made in Italy" nel surgelato: un'enorme opportunità di mercato

CibusLab

Le aziende produttrici di surgelati in Italia, soprattutto quelle che hanno come core business pizze, prodotti ricettati (primi piatti soprattutto) ed in generale prodotti di diretta derivazione del made in Italy, nell’ampia accezione del termine, hanno grandi margini di crescita nell’ambito dell’esportazione verso l’estero.

Ciò emerge nell’ambito degli studi che si stanno realizzando all’interno del progetto Cibus Lab, e dalla pubblicazione di un manuale e-book GDONews sulla categoria disponibile dal 26 ottobre, il quale verrà inviato gratuitamente a tutti i buyer della GDO italiana. Inoltre, dopo essere stato tradotto in inglese, sarà inviato a tutti i manager internazionali del retail, del fast food ed agli importatori presenti nella mailing list di Cibus, ed infine il 10 novembre si realizzerà un webinar, con la presenza di buyer internazionali e produttori italiani, dove si metterà a fuoco quanto risulta dalle evidenze: l’export sta crescendo vistosamente e ciò che caratterizza l’offerta italiana è, ancora una volta, il made in Italy.

Esistono, però, alcune criticità che vale la pena evidenziare e che nel manuale verranno approfondite.

La prima è la poca ricettività della GDO italiana verso alcuni segmenti della categoria che, invece, hanno un alto potenziale di interesse all’estero. E’ sufficiente citare il dato relativo alle vendite in GDO delle prime due sottocategorie, dopo ovviamente il gelato: vegetali naturali e frutta ed ittico sono le prime due categorie con una incidenza del 48% delle vendite totali.

 

 

In entrambi i segmenti il leader di mercato è CSI, una multinazionale straniera, che costruisce un assortimento perfettamente trasversale per tutti i consumatori del mondo, e che di made in Italy ha ben poco.

Dall’altro lato, però, il problema è anche la poca attrattiva del made in Italy nel surgelato: gli italiani, soprattutto nel sud, non intendono consumare in modo massivo prodotti surgelati che non siano vegetali o pesce e molto meno se sono diretta derivazione della tradizione italiana.

 

L’ing. Vittorio Gagliardi, Presidente dell’Istituto Italiano degli Alimenti Surgelati, lo spiega chiaramente: “Paesi come l’Italia, la Francia, la Spagna o la Grecia sono tutti accomunati da un fatto positivo: godono di materie prime fantastiche, disponibili e tutto ciò non accade nelle altre nazioni, soprattutto in quelle del nord Europa”.

A conferma di ciò un dato su tutti: la pizza surgelata, che in Italia realizza un buon fatturato, pari ad oltre 13% del totale della categoria surgelati, nel sud Italia esprime solo il 9% del totale vendite Italia, mentre i piatti ricettati (oltre 11% delle vendite) solo il 10% della totale GDO Italia.

Cosa ci dicono questi dati?

Che il mercato nazionale si è avvicinato solo di recente al consumo di prodotti surgelati espressione del vero made in Italy il quale, nella fattispecie, viene rappresentato dalle pizze surgelate, dai piatti ricettati ed in minima parte dalle specialità regionali salate, mentre le rotazioni di prodotti delle sottocategorie come vegetali ed ittico sono enormemente superiori.

Il mercato potenziale all’estero è, invece, molto rilevante e, purtroppo per noi,  ben sfruttato da multinazionali straniere: in Europa il leader di mercato delle pizze surgelate è un produttore tedesco, Dr. Oetker (Cameo in Italia) che fattura oltre 11 miliardi di euro ed è presente in 25 paesi nel mondo, spesso grazie alle acquisizioni di aziende locali. I paesi nordici sono, generalmente, grandi consumatori di prodotti surgelati e, guarda caso, grandi estimatori di prodotti made in Italy.

Gli Stati Uniti, il cui consumo pro capite di prodotti surgelati è di oltre 50 kg contro i 14 dell’Italia, sono un Paese chiuso per tutti gli alimenti a base di carne ma, negli ultimi tempi, 4 imprese italiane sono state autorizzate all’esportazione di pizze surgelate con la presenza di carne.

Il leader di mercato dei surgelati negli USA è la multinazionale Nestlè, seguita dalla Schwan’s Company e dalla General Mills Inc.; è presente anche la McCain Foods, ovvero la Dr. Oetker, con sede in Canada, il cui fatturato è di oltre 6 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti il mercato delle pizze surgelate vale circa 5,5 miliardi di dollari, 20 volte quello italiano.

Le imprese italiane da qualche anno hanno iniziato ad approcciare questo enorme mercato, ma i margini di crescita si prospettano enormi, non solo per le pizze surgelate, ma a seguire anche quello dei piatti ricettati italiani e delle specialità regionali.

In Europa, dove ovviamente la legislazione non trova barriere, le prospettive di crescita non sono differenti: i paesi del nord, ed anche la Francia, sono ottimi consumatori di prodotti surgelati ed anche in questi mercati i margini di crescita sono davvero importanti.

Ultima considerazione: quando si parla di evoluzione delle esportazioni e di abitudini di consumo relativamente a prodotti surgelati, facciamo riferimento alle vendite presso retailers che, a loro volta, si rivolgono ai consumatori per i loro consumi casalinghi, ma omettiamo di menzionare il fortissimo potenziale che è in grado di esprimere il canale del cosiddetto “out of home”.

Nello specifico il franchising della ristorazione nei paesi del nord Europa è un business sviluppatissimo e prevalente: il Italia il fatturato realizzato da catene in franchising di ristoranti è pari al 5% del totale, negli USA supera il 50%, nei paesi del nord Europa è molto alta. Negli Stati Uniti tale ambito di mercato viene denominato QSR (Quick Service Restaurant) e secondo un report di Statista, vale tra i 250 ed i 300 miliardi di dollari, in UK il mercato del fast food vale (fonte MCA Insight) circa 10 miliardi di sterline. Insomma si tratta di aree del mercato che oggi non vedono lontanamente protagonista il made in Italy italiano, ma potrebbe esserlo nell’immediato futuro.

 

 

Si consideri che una catena tedesca (con sede ad Amburgo) di ristoranti simil-italiani, con ambientazione italiana e cibo italian sounding, di nome “Vapiano”, sta crescendo rapidamente in tutto il mondo, consta di oltre 500 punti vendita, a dimostrazione, qualora ci fosse stato il dubbio, che il made in Italy può, a tutto titolo, occupare uno spazio in quel mercato.

Si tratta di unire la domanda con l’offerta e lasciare che il mercato faccia il suo corso evolutivo.

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